benchmark, asset allocation e fondi flessibili

Consuete considerazioni sulla borsa italiana.
Per una corretta interpretazione occorre leggere le premesse metodologiche e gli standard operativi approfonditi negli articoli precedenti.

 

Scattato lo stop sulla quota residuale, il nostro Gino Pippi  rimane completamente liquido e, essendo passati   tre mesi dall’inizio di queste “considerazioni”,  possiamo fare un primo bilancio  e alcune osservazioni metodologiche.

Il 1 luglio  l’indice ftsemib della borsa italiana segnava 21300 punti,  venerdi 10 ottobre ha chiuso a  19200, perdendo circa il 10 % . Gino, senza usare la modalita’ short ( non prevista dal sistema che abbiamo scelto),   ha guadagnato  piu’ o meno  il 5%.

Ha cosi’ conseguito una “sovra performance”,  rispetto all’indice di riferimento,  di 15 punti percentuali in 3 mesi. Ha insomma battuto sonoramente il mercato. Risultato che nella letteratura sull’argomento si ritiene molto difficile da fare e da mantenere… Ho sempre ritenuto questa affermazione poco convincente e cerco di spiegarne le motivazioni. Va premesso che:

  • Battere il mercato quando scende e’ abbastanza facile: basta essere poco o nulla investiti (comunque meno del 100%)
  • Una volta conseguita una larga sovra performance (come nel nostro caso) basterebbe essere indicizzati , vale a dire comprare un etf  per la totalita’ del nostro fondo, per continuare   a “battere il mercato” all’infinito…
  • Nel lungo termine solamente fare meglio del benchmark potrebbe essere comunque insufficiente, se ci si confronta con indici (come il nostro o quello giapponese) strutturalmente deboli. Il risultato potrebbe essere di “aver battuto”, con una performance  di  -40%,  un mercato che e’ sceso del 50% …

Quando un amico o conoscente   mi segnala  i buoni risultati  di un qualche fondo in suo possesso  (frequentemente uno tra i  tanti che gli sono stati venduti) , in genere svolgo una minima analisi  sull’andamento  storico in   confronto con un appropriato benchmark . Analisi che normalmente  rileva  tali  fondi  essere sostanzialmente indicizzati, per cui  un etf  sarebbe stato  un alternativa  migliore. Questo perche’  un  gestore di un fondo azionario America  e’ costretto a detenere azioni americane, sia che il mercato salga, sia che il mercato scenda, trattandosi appunto di un fondo che “deve” detenere azioni americane.

L’alternativa che era sembrata vincente poteva essere quella dei fondi flessibili, nei quali il gestore e’  libero di muoversi fra tutte le diverse tipologie di investimento, mutando continuamente la componente azionaria, obbligazionaria e di liquidita’. Su questo argomento sto svolgendo  una ricerca personale, perche’ mi pare argomento di grande interesse.

Purtroppo anche in questo caso pochissime “mosche bianche” battono un benchmark banale e statico, composto da 50% azionario mondiale e 50% obbligazionario mondiale.

Cio’ significa che se un investitore compra due etf, investendoci in ciascuno la meta’ del suo capitale,  fa meglio della maggior parte dei gestori professionali di  fondi flessibili !

Questo accade per svariati motivi : innanzitutto i fondi sono sottoposti a una serie di costi e commissioni (di gestione, di entrata, di uscita, di performance…), secondo, il gestore deve mantenere sempre un a quota non investita, e quindi non redditizia ,  per fare fronte ai riscatti,  terzo (e  piu’ importante)  i gestori tendono ad essere indicizzati , nel bene e nel male, perche’ cosi’ non potranno essere biasimati di aver fatto molto peggio del mercato.