Considerazioni generali sulla gestione dei risparmi

Investire soldi non e’ rischioso… e’ rischioso essere incompetenti! (Wall Street Italia)

 La maggior parte dei risparmiatori utilizza la banca come  intermediario e, contemporaneamente , come consulente per gestire i propri risparmi, sottovalutando il fatto che le aziende di credito operano in condizioni di  conflitto di interessi. Infatti cio’  che per noi e’   investimento, per la banca e’ una forma di finanziamento (caso tipico le obbligazioni bancarie); quelli  che per noi sono prodotti da acquistare, per la banca corrispondono  alla merce in vendita (fondi comuni, polizze assicurative, ecc.). Non va mai perso di vista che tali  prodotti  hanno margini di rendimento molto differenti: su un fondo comune azionario la commissione di gestione puo’ essere del 3 per cento all’anno, su un etf (che spesso ha  gli stessi rendimenti) la commissione per la banca puo’ scendere al 2 per mille, solo  alla compravendita!

In breve, la banca gestisce il vostro patrimonio senza farsi pagare per la consulenza, ma guadagnando sui prodotti che vi vende.

La filiale della banca  e’ paragonabile a una concessionaria di un determinato  marchio automobilistico: non proprio il  luogo ideale  per  farsi consigliare, in generale,  se ci serve un autovettura e , in particolare, uno specifico   modello ! Puntuale una citazione da Warren Buffett : “non chiedete al barbiere se avete  bisogno di tagliarvi i capelli”.

In passato il conflitto di interesse tra intermediario e cliente era un tema per addetti ai lavori, i risparmiatori non erano più di tanto consci  della situazione. Il problema è diventato sempre più evidente dopo i  tanti casi pietosi come Parmalat, Cirio, i bond argentini, Lehman, le banche islandesi…

Ma proviamo ad analizzare  la situazione seguendone l’evoluzione storica .

Col passare degli anni e’ aumentata la complessita’ del mercato. L’Italia e’ stata a lungo un paese finanziariamente particolare, in cui l’investimento azionario era pratica molto minoritaria. Nel contempo, pero’ anche un paese con un tasso di risparmio molto alto. Fino agli anni ’70 (e parte degli anni ’80), l’investitore non si trovava di fronte a scelte difficili: il risparmio, finalizzato in ultima istanza al mattone, diventava deposito bancario o postale, in seguito BOT.  Inoltre, fino alla fine degli anni ’80, i risparmiatori italiani non potevano comprare titoli esteri, quindi era loro preclusa ogni  possibilita’ di diversificazione geografica.

Poi, alla metà degli anni ’80, le banche e le società di gestione hanno capito che il risparmio degli italiani era  una riserva enorme dove potevano raccogliere ingenti  commissioni di intermediazione e di gestione, affiancandosi e sostituendosi allo Stato, fino ad allora il principale attore della raccolta.[1]

Contemporaneamente e’ cresciuta l’esigenza di redditivita’ delle banche, sia per l’incredibile aumento  dei bonus, sia per l uscita di molte aziende di credito dal settore pubblico.

E per raggiungere determinati obiettivi di reddito, le banche hanno cominciato a creare prodotti finanziari sempre più complicati.  Vendendo titoli di stato, e in generale prodotti semplici,  non si possono applicare commissioni molto onerose. Conseguentemente  si  sono costruiti prodotti sempre piu’ complessi e meno trasparenti (gestioni in  fondi, polizze index linked, obbligazioni con strutture cosi’ contorte che anche un esperto ha difficolta’ a comprenderle).  In poco tempo l’asimmetria informativa tra chi vende e chi acquista e’ diventata enorme, e  la banca e’ riuscita  a vendere prodotti palesemente inefficienti.

Per molti risparmiatori non è facile compiere delle scelte razionali in questo mercato. Ma analizziamo in dettaglio questo meccanismo commerciale.

Le vendite sono basate  soprattutto su un  rapporto di fiducia. Rapporto che si era costruito in passato, quando le banche erano pubbliche o semipubbliche, gli obiettivi di redditivita’ non cosi’ esasperati, i budget e i premi inesistenti…   Spesso il rapporto tra il risparmiatore e la sua banca è di questo tipo:  il cliente si fida e non si accorge che il prodotto, usiamo un eufemismo, “lascia molto a desiderare”.  Gli studiosi di finanza comportamentale definiscono “euristica della familiarità” questa scorciatoia mentale, per cui tendiamo a rivolgerci al consueto sportello bancario, per me “sindrome di stoccolma “ sarebbe piu’ corretto!

Ovviamente tutto ciò e’ legato alla difficoltà di capire il mercato e i prodotti, a quell’asimmetria  informativa di cui dicevamo prima.[2]   La cultura finanziaria media e’ purtroppo insufficiente di fronte alla complessita’ crescente dei prodotti finanziari.

Mi capita sovente di citare il fatto che quando una persona  deve cambiare macchina si informa dagli amici, legge “Quattroruote”, gira diversi concessionari, aspetta la rottamazione o l’offerta speciale…e questo e’ molto sensato perche’ parliamo di diverse migliaia di euro; lo stesso quando deve comprare un pc ( e parliamo di centinaia di euro…), poi si scopre che quelle stesse persone hanno un patrimonio finanziario di  200.000 euro, e ignorano se sia investito in fondi azionari o bilanciati o monetari, ma si fidano di una banca o di un promotore, da molti anni…senza aver mai svolto un adeguato monitoraggio dei risultati !

La classica affermazione  è: “io di queste cose non ne capisco…”.  Il grande vantaggio di chi vende prodotti e servizi finanziari rispetto a chi li acquista, è proprio questo “gettare la spugna” da parte dei risparmiatori. In Italia c’è poca cultura finanziaria, e purtroppo una delle poche possibilità che i risparmiatori hanno avuto per formarsela è stata quella di perdere soldi, incorrendo in  varie “disavventure finanziarie”.[3]

Per contro essere informati sui mercati è  molto più semplice perché ci sono molte più fonti e canali di informazione, basta pensare ad internet, alla possibilita’ di avere una strumentazione, con le banche on line, che fino a qualche anno fa era a disposizione solo dei professionisti. Ma l’eccesso di informazione puo’ portare dei problemi. Come la cosiddetta overconfidence da parte del risparmiatore che si sente più sicuro perché ha a disposizione tutti questi dati. Una conseguenza deleteria della facilita’ ad operare (trading on line) combinato con l’accesso continuo alle informazione  e’ l’eccessiva movimentazione del portafoglio, con conseguente incremento esponenziale  delle commissioni pagate.[4]

Quindi oltre ad essere informati, bisognerebbe saper discernere tra tutto quello che in inglese si definisce noise, rumore, (che in realtà è la maggior parte di quello che leggiamo e sentiamo) e quello che realmente e’ dato informativo.

Bisogna seguire  un metodo, con disciplina e pazienza.

 

 


[1]  Beppe Scienza, professore di matematica finanziaria e  autore de “Il risparmio tradito”, calcola  che questo travaso dei risparmi, dai bot alle gestioni professionali, ha causato agli investitori perdite maggiori che le bancarotte come Parmalat, Cirio, Lehman…

[2] Aggiungerei la rotazione selvaggia degli addetti alla consulenza nelle banche, che costringe il risparmiatore a rapportarsi continuamente con interlocutori  diversi

[3] Mi riferisco ai diversi default citati, ma anche alla new economy, alle privatizzazioni, alle Ipo , ecc. ecc.

[4] Studiosi importanti (per es. Brad Barber) hanno evidenziato come un eccessiva movimentazione del portafoglio comporta nella maggior parte dei casi risultati pessimi.