Non ho alcuna intenzione di dirvi la verità. Anzi, voglio raccontarvi una storia. Una storia che narra perché il marketing deve smetterla di intestardirsi a comunicare fatti, per concentrarsi invece su ciò che la gente crede e sforzarsi di raccontare storie congruenti con la sua visione del mondo. (Seth Godin)
I fondi a cedola sono una delle ultime brillanti “invenzioni” dell’industria finanziaria.
Sono fondi obbligazionari a scadenza, ma comunque della durata di diversi anni, che offrono una cedola periodica “garantita”. La raccolta viene effettuata in un periodo di poche settimane, detto “di sottoscrizione”. Questa caratteristica e’ astutamente sfruttata dai venditori che possono utilizzare l’effetto rarita’ : “bisogna fare presto, si possono comprare solo fino al …”
Inoltre, in tempi in cui i risparmiatori sono stati tosati in tutti i modi possibili e immaginabili, avere una “garanzia di reddito” sembra una panacea. Infatti i fondi a cedola sono in testa alle classifiche dei prodotti piu’ venduti…
Ma cotanto successo appare un tantino esagerato: i risparmiatori sembrano dimenticare che la maggior parte dei titoli di stato, e le obbligazioni in genere, garantiscono una cedola periodica, e che questa cedola non intacca il capitale che – salvo default – verra’ restituito alla scadenza.
Innanzitutto i fondi a cedola sono normali fondi comuni di investimento, con commissioni di ingresso e di gestione ( che si mangiano da 1 a 2 punti percentuali all’anno di rendimento); inoltre , in molti casi, se il rendimento del fondo e’ inferiore alla cedola “garantita” quello che ottenete e’, in realta’, mero rimborso del vostro capitale.
Altri due corollari, non insignificanti:
1) Se avete bisogno di vendere quote di questi fondi prima della scadenza, vi addebitano cospicue commissioni di uscita
2) Al raggiungimento della data di scadenza prevista il fondo confluisce automaticamente in un altro fondo, o si converte progressivamente in un prodotto monetario.
Tutte cose che non succedono comprando un normalissimo titolo di stato.
Ma, come se tutto questo non fosse abbastanza, un fatto piu’ inquietante e’ quella descritto su Plus del 14 settembre 2013, vale a dire l’orchestrazione, da parte dell’industria finanziaria, della fuoriuscita da fondi venduti negli scorsi anni e il contestuale riacquisto di prodotti in collocamento.
L’approccio ”marketing oriented” potrebbe essere:
“Vendiamo il fondo alfa, che ci ha reso il 10%, monetizziamo e compriamo il fondo beta !”
E il piccolo investitore si sente un nuovo Warren Buffett…
Che cosa e’ successo, in realta’ ?
I prodotti collocati quando i nostri titoli di stato sembravano sull’orlo dell’abisso, oggi si sono molto rivalutati. L’idea di venderne almeno una parte puo’ essere valida (anzi consigliabile), ma lascia perplessi quando:
a) Il rendimento viene falcidiato da pesanti commissioni di uscita
b) Il ricavato viene reinvestito in un prodotto analogo
Penso a un risparmiatore che abbia investito quando un btp con durata residua sui 7 anni quotava molto sotto la parita’ (85, 90), oggi se lo trova a 105. Credo che possa certamente vendere, almeno in parte, per riposizionarsi su una durata piu’ breve o sull’azionario, ma non per ricomprare un titolo analogo!